Lo schema di decreto legislativo recante il “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza” – di Giuseppe Dionigi Mariella
Il 10 ottobre scorso, il Ministero della Giustizia ha licenziato e trasmesso ai Ministeri concertanti (Ministero dello Sviluppo Economico e Ministero dell’Economia e delle Finanze) lo schema di decreto legislativo che introduce un “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza”, in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155, pubblicata sulla G.U. n. 254 del 30 ottobre 2017. Il testo dovrebbe approdare nuovamente in Consiglio dei Ministri entro la fine del mese di ottobre.
Come è noto agli operatori del settore, il ridetto schema di decreto legislativo succede alle tre bozze di altrettanti decreti legislativi – consegnati il 22 dicembre 2017 all’allora Ministro della Giustizia Orlando da Renato Rordorf, Presidente della commissione ministeriale costituita appositamente al fine di dare attuazione alla legge delega 155/2017 – con cui sono erano trattate per la prima volta in modo complessivo tutte le situazioni di crisi e di insolvenza, prescindendo dalla natura giuridica del debitore, dai limiti dimensionali dell’impresa e dalla tipologia di attività esercitata dallo stesso.
Lo schema di decreto legislativo si compone di 390 articoli ed è suddiviso in quattro parti: la prima dedicata al codice della crisi e dell’insolvenza, la seconda alle modifiche al codice civile, la terza alle garanzie in favore degli acquirenti di immobili da costruire e la quarta parte recante le disposizioni finali e transitorie nell’ambito delle quali è prevista, tra l’altro, l’entrata in vigore del decreto decorsi diciotto mesi dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Come sottolineato nella relazione illustrativa del Ministero, il decreto «è espressione dell’esigenza, oramai indifferibile, di operare in modo sistematico ed organico la riforma della materia dell’insolvenza e delle procedure concorsuali». Infatti, le modifiche normative che si sono succedute negli ultimi anni e, soprattutto, quelle introdotte con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, hanno ampiamente modificato la normativa di base costituita dal R.D. 19 marzo 1942, n. 267, ma nel contempo hanno accentuato il divario tra le disposizioni riformate e quelle rimaste invariate, che risentono ancora di un’impostazione nata in un contesto temporale e politico ben lontano da quello attuale. A ciò si aggiunga che l’esigenza di una risistemazione complessiva della materia concorsuale è oggi resa ancor più incombente dalle sollecitazioni provenienti dall’Unione Europea. Vengono in rilievo:
- il Regolamento UE 2015/848 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015, che tratta dell’efficienza e dell’efficacia delle procedure di insolvenza per il buon funzionamento del mercato interno in ragione delle crescenti implicazioni transfrontaliere;
- la Raccomandazione n. 2014/135/UE della Commissione del 12 marzo 2014, che ha posto l’obiettivo di garantire alle imprese sane in difficoltà l’accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta di ristrutturarsi in una fase precoce;
- la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 novembre 2016 in tema di quadri di ristrutturazione
preventiva e misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti,
che prosegue sulla strada della predilezione dell’intervento anticipato sulla crisi dell’impresa e della ristrutturazione precoce
per preservare le parti di attività economicamente sostenibili.
L’obiettivo principale della riforma è, dunque, quello di soddisfare imprescindibili esigenze di certezza del diritto, che postulano un sufficiente grado di prevedibilità della decisione del giudice, nonché il miglioramento dell’efficienza del sistema economico in modo tale da renderlo più competitivo anche nel confronto internazionale.
In quest’ottica, in linea con quanto previsto dalla legge delega n. 155/2017 ed in continuità con quanto previsto nei c.d. decreti Rordorf, lo schema di decreto detta i principi generali e definisce nozioni fondamentali, a cominciare da quella di “crisi”, definita come «lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate», e di “insolvenza“, intesa (ribadendo la nozione già consolidata in giurisprudenza) come «lo stato del debitore che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni e che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori» (cfr. art. 2).
Viene, inoltre, abbandonata la tradizionale espressione “fallimento” (e quelle da essa derivate), in conformità con una tendenza già manifestatasi nei principali ordinamenti europei di civil law (tra cui quelli di Francia, Germania e Spagna), volta ad evitare quell’aura di negatività e di discredito, anche personale, che storicamente si accompagna a quel termine.
Quanto alle ulteriori novità di rilievo, si segnalano:
- l’introduzione della regola della necessità del patrocinio del difensore: questo è ora considerato di norma come obbligatorio, salvi i casi in cui non sia previsto altrimenti. Di fatto tale norma contribuisce, in antitesi alle finalità della legge delega, a non ridurre i costi delle procedure;
- l’introduzione di strumenti di correzione alle misure di allerta: viene introdotta la possibilità per l'impresa di contestare i propri indici di squilibrio; inoltre, l’obbligo di segnalazione delle situazioni di crisi da parte dei creditori qualificati scatterà con soglie notevolmente innalzate (v. art. 13 e 15);
- l’estensione dei poteri del Pubblico Ministero, il quale potrà
presentare ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale in tutti i casi in cui avrà notizia di uno stato di insolvenza (v. art. 22); - l’introduzione di modifiche alla disciplina del concordato preventivo:
- il concordato con continuità aziendale indiretta è ora ammissibile soltanto qualora garantisca il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno il 30% di quelli in forza al momento del deposito del piano, per i successivi due anni (v. art. 84, co. 2);
- ii. nel concordato con continuità aziendale – anche laddove sia prevista la collaterale liquidazione di beni non funzionali – i creditori devono essere comunque soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino (v. art. 84, co. 3);
- iii. vi è il ritorno all’obbligatorietà dell’attestazione di fattibilità e di veridicità dei dati aziendali (v. art. 87, co. 2).